Erbossyn Meldibekov. Pastan

Y.Meldibekov, mostra Galleria Nina Lumer 2006
Y. Meldibekov. Gattamelata nella pelle di Gengis Kahn,  2006
Y. Meldibekov. Installazione Gattamelata nella pelle di Gengis Khan, 2006. Frammento.
Y. Meldibekov. Peak, pentola in ferro,  2006
Y. Meldibekov. Guardo dalla finestra che non abbiano rubato la mia mucca, 45x30 cm, tecnica mista, 2006
Y. Meldibekov.  Maschere (30x40), cera, 2006
Y. Meldibekov. Pastan_04, video, 02.54min, 2005
Y. Meldibekov. Pastan_03, video, 02.54min, 2005
Meldibekov. My brother, my enemy, 200x160cm, 2002

C’è un Paese in Asia Centrale, tra Kazachstan, Kirghizistan e Uzbekistan, che Erbossyn Meldibekov ha chiamato Pastan.

Il 26 settembre 2006 la Galleria Nina Lumer inaugura la prima mostra personale dell’artista in Italia. Saranno esposte fotografie, video, sculture e un’installazione, che interpretano i diversi volti della terra di Pastan: un paese immaginario, ironicamente creato dall’artista, da aggiungere alla nuova e molteplice costellazione di Stati post-sovietici nel centro dell’Asia. In ognuno di questi paesi si stanno costruendo nuove ed originali identità nazionali, a volte aggressive e xenofobe, in cui si scontrano quotidianamente comunismo, islam e paganesimo. In questo contesto nasce la visione realistica e terribile di Pastan, terra immaginaria ma non ideale, che riflette i conflitti di questo cosmo. “Vivo in un paese dove tutto cambia rapidamente, cambiano i valori, gli eroi, la lingua, l’alfabeto…” dice del Kazachstan Erbossyn Meldibekov.

Alla Biennale d’arte di Venezia del 2005, non a caso, l’immagine My brother, my enemy (2002) è diventata l’emblema del Padiglione dell’Asia Centrale, simbolo dissacrante del dialogo-scontro tra le nuove realtà nazionali che si sono presentate sullo scenario mondiale.

L’uso di materiali brutali (legno, pietra, sabbia), di animali della steppa (primo il cavallo, poi pecore e cammelli), fondamenti della vita nomadica ereditata da Gengis Khan eTamerlano, sono gli elementi naturali della creatività di Meldibekov.

L’installazione Gattamelata nella pelle di Gengis Khan (2006), una delle opere più significative dell’artista, è una reinterpretazione della cultura italiana rinascimentale vista con gli occhi di Gengis Khan: Meldibekov profana la bellezza del lavoro di Donatello, e propone una nuova idea di bellezza, di corpo nudo. Denudare per Gengis Khan non significa scoprire, togliere veli, ma aprire, tagliare, squarciare. Scavalcando il dualismo occidentale di anima e corpo, forma e contenuto, il “nomade contemporaneo” ha una visione più diretta della realtà e un diverso rapporto con il corpo. Il corpo è assente nella cultura nomade, così come non esistono città, architettura, scultura, i confini stessi della terra che si attraversa. Questa nuova visione del mondo ci viene presentata dall’artista nello spazio immaginario di Pastan.