Diamante Faraldo. A Nord del Futuro

D. Faraldo, A nord del futuro, galleria nina lumer, 2007
D. Faraldo, A nord del futuro, galleria nina lumer, 2007
D. Faraldo, A nord del futuro, galleria nina lumer, 2007
D. Faraldo, Africae Nova Descriptio,Camera d’aria, marmo, legno, ferro, 200x200 cm, 1990
D. Faraldo, Obscurum, 2007
D. Faraldo, Obscurum, 2007
D. Faraldo, Obscurum, 2007
Diamante Faraldo, Atem-Wende, 2007
D. Faraldo, Zeit Hoft, 2007
Diamante Faraldo, disegno, matita su carta, 40x60 cm, 2007
Diamante Faraldo, matita su carta, 40x60 cm, 2007
Diamante Faraldo, Autoritratto, matita su carta, 40x60 cm, 2007
Diamante Faraldo, Autoritratto, 2007
Diamante Faraldo, Teschio Capovolto, 2007

Venerdì 21 settembre 2007 alle 18.30 la Galleria Nina Lumer inaugura la personale di Diamante Faraldo, A nord del futuro.

Fa’ che il tuo occhio nella stanza sia un cero, lo sguardo un lucignolo, fammi essere cieco quel tanto da mettergli fuoco…Sono parole di Paul Celan, la cui profondità e poeticità sono rese visivamente ed emotivamente esplicite dall’opera di Diamante Faraldo. Andare verso l’oscurità attraverso ciò che è ancora più oscuro ed ignoto. Il lavoro di Diamante Faraldo ci avvolge in un’oscurità che richiede di essere contemplata, in cui la realtà si riduce, si riflette su se stessa, si nasconde dietro una lente che la deforma. L’artista fissa le sue sensazioni ed emozioni in una forma immobile, scultorea, che permette l’estrazione di caratteristiche visive immutabili e rassicuranti. La contemplazione, il soffermare lo sguardo a lungo sulle cose, è una delle essenze fondamentali del lavoro di Faraldo, apprezzare le sue opere è come entrare improvvisamente nel buio di un ambiente dove si è ciechi nell’impossibilità di riconoscere contorni e forme. Solo attraverso la dilatazione del tempo di osservazione gli oggetti incominciano ad emergere dall’oscurità. E’ soltanto attraverso la contemplazione che i suoi lavori possono parlare a chi li osserva, è solo guardando ad occhi chiusi che si riesce a vedere ciò che si ha dentro e si riesce a raggiungere ciò che è imprigionato nel più profondo. Nel suo lavoro riconosciamo i nostri archetipi più intimi ed interiori. La sua opera rappresenta una sorta di genesi di quella forma che “è nelle sue figure ciò che essa è in noi: un tramite per comunicarci delle idee, delle sensazioni, un’immensa poesia” (H. De Balzac).

“Il vedere diviene quindi riconoscere che per me significa dare nuovo vigore alle cose” sono parole di Faraldo che ridefiniscono, oltre al ruolo dell’artista, lo stretto legame tra estetica ed etica. L’artista non solo mette in scena la sua visione del mondo ma in qualche modo contribuisce a determinare una visione del mondo, attraverso un linguaggio che vada oltre il tempo, che parli del tempo e che al tempo dia una direzione.

Così in mostra, alla galleria Nina Lumer, nove disegni nascosti da una lente che li deforma, nove rappresentazioni del male che il genere umano è riuscito a infliggere a se stesso nel corso della storia, figure in cui il volto dell’uomo non compare mai, ad eccezione dell’autoritratto dell’artista che ci racconta di queste rovine. Tra le opere un’acquasantiera di marmo nero riempita di petrolio, un’enorme mappa della terra che si rispecchia nell’acqua, tutto a testimoniare della malinconia di un mondo che riflette su se stesso, che non guarda più l’Altro e non guarda più in Alto, un mondo costretto a morire, che, come Narciso, affoga nel proprio riflesso. Ecco dunque emergere anche qui il ruolo etico dell’artista, che costringe l’osservatore a guardarsi, a riflettersi, a specchiarsi nelle rovine di un mondo che lui stesso ha distrutto, mostrando uno spiraglio di salvezza proprio nel dialogo, nell’Altro o in senso più mistico e trascendentale nell’Alto.

Nei fiumi, a nord del futuro,
io getto la rete che tu,
indugiando, fermi
con ombre scritte
da pietre. (P. Celan)

Proviamo a leggere l’opera di Faraldo riadattando le parole che Hans Georg Gadamer ha usato per spiegare questa poesia di Celan. “Ciò che qui viene descritto è tale da andare al di là dell’ambito particolare del poeta. […] E’ una delle grandi metafore che stanno alla base dell’intera epoca moderna, considerare la creazione poetica come esemplare della stessa natura umana. La parola che il poeta riesce a cogliere e a cui conferisce consistenza non è il risultato della sua arte speciale, ma esprime in generale l’essenza delle possibilità delle esperienze umane e questo permette al lettore di identificarsi con l’io che è il poeta stesso”. E proviamo ora a immaginarci di sostituire “poeta” con artista, “creazione poetica” con opera d’arte, “parola” con forma, “lettore” con osservatore: Ciò che qui viene descritto è tale da andare al di là dell’ambito particolare dell’artista. […] E’ una delle grandi metafore che stanno alla base dell’intera epoca moderna, considerare l’opera d’arte come esemplare della stessa natura umana. La forma che l’ artista riesce a cogliere e a cui conferisce consistenza non è il risultato della sua arte speciale, ma esprime in generale l’essenza delle possibilità delle esperienze umane e questo permette all’osservatore di identificarsi con l’io che è l’artista stesso.
E’ come se chi guarda le sculture di Faraldo assumesse, in qualche modo, una nuova coscienza di sé e degli altri, ritrovando nell’opera parte di se stesso, delle proprie emozioni, della propria storia e della propria cultura. Citando ancora una volta le parole dell’artista: “ L’uomo è soprattutto un’istanza morale, mai riducibile all’insieme delle cose da lui prodotte o da lui caratterizzate. L’arte e l’artista devono assumersi la responsabilità e, perché no, l’autorevolezza, di creare un’opposizione rispetto a un determinato fine. Per quanto piccoli possano essere, la voce del poeta o il segno dell’artista si caricano e trasfondono sempre un’energia nuova, positiva, opposta all’effimero della vita”.